Le 22 mutabili leggi del marketing!

Le 22 immutabili leggi del Marketing

Alcuni seguaci di Al Ries e Jack Trout mi hanno dato lo spunto per spiegare perché “Le 22 leggi immutabili del Marketing” a me non serve. Mentre loro si strappano le vesti al cospetto di questi “micidiali comandamenti della vendita” e dormono col librone sotto il cuscino, io onestamente no.

Perché non seguo e non seguirò la maggior parte di queste “leggi”?

Innanzitutto perché non mi piace il modo in cui Ries e Trout ignorano l’utente finale, colui che dovrebbe utilizzare il prodotto o il servizio. Visto che per me la benzina di un brand è lo “user”, non riesco a trovare ispirazione in chi invece pensa che l’unica cosa di cui devi preoccuparti sono il mercato e la concorrenza. Davvero non riesco a farmi ispirare da chi punta solo a chiudere una vendita e dice “non mi alzo da qui se non compri”.

Ho letto anche “La guerra del Marketing di Ries e Trout” e ogni tanto osservo o parlo con alcuni di questi incalliti seguaci della vendita agguerrita. Cosa ho notato? O non parlano affatto di consumatore, oppure, se ne parlano, lo fanno solo in termini di target da adescare, di sprovveduti da far “abboccare”. E già il linguaggio di questi temerari marketer la dice lunga sui loro metodi e sulle loro intenzioni, non ti pare?

Non mi piace l’approccio pressante di questi “fondamentalisti del marketing”, questo loro modo di assillare il cliente costringendolo ad acquistare per sfinimento. È un approccio che, detto tra noi, puzza assai di vecchio, visto che oggi il cliente è molto più smaliziato rispetto a chi anni fa si faceva abbindolare con un “compra ora: restano solo pochi pezzi della nostra pozione miracolosa!”.

Ciliegina sulla torta, proprio in questi giorni mi è capitato di vedere un video in cui il massimo adulatore di Ries dice “Devi prendere il tuo cliente a calci nel culo, fino a quando non ti implora di smettere”.

Cosa rispondo, invece, io a questo adulatore del “marketing vincente”? Che a mio modesto parere, se vuoi davvero ottenere dei risultati nel “selling”, nel “cross-selling” e anche nell’ “up-selling”, il cliente deve fidarsi di te e deve vedere in te un consulente prima che un venditore. Di sicuro non deve mai percepirti come un venditore con il sangue agli occhi.

A volte mi chiedo come mai i clienti che seguo da 15 anni, e con i quali ho fatturato milioni di euro (selling, cross-selling e up-selling), continuano a volere me, nonostante i miei competitor bussino alla loro porta giorno e notte. E mi dico che il motivo sta tutto qui: non ho mai avuto un approccio del tipo “non mi alzo da qui, se non mi firmi ‘sto cazzo di contratto” (cit.).

Anzi, a dirla tutta, non ho mai preparato un contratto per il cliente che non fosse il contratto “con” il cliente.

Addirittura, ho clienti senza nessun contratto firmato, eppure continuano a pagare puntualmente una fee mensile da anni. Perché? Perché non mi vedono come uno che è andato lì a vendere e basta, è chiaro.

Ma voglio essere più schematico e farti capire meglio la differenza che c’è fra me e gli aderenti al partito della “vendita efficace”. Ecco cosa non condivido con questo genere di venditori e perché.

Non condivido il modus operandi di questo genere di venditori.

A me non piace il marketing in cui ti distrai a guardare la concorrenza. Mi piace il marketing in cui ti concentri a dialogare con lo “user” e fai per lui un prodotto o servizio di qualità (vera, non millantata). Non sto qui a spiegare perché preferisco concentrarmi sullo user, visto che l’ho già scritto nella teoria Jointmark. Cerca su Google, “Jointmark, il nuovo branding”, e la trovi. Questa teoria non sei costretto a condividerla, però potrebbe esserti di ispirazione, dal momento che è moderna, non è stata scritta 30 anni fa ed è ben vista da molti marketer con cui l’ho condivisa.

Non condivido i principi di questi venditori.

Non mi piace chi condanna la creatività e questi fondamentalisti del marketing lo fanno, facendo riferimento a quella comunicazione “distratta” che non ha una specifica funzione commerciale e non chiama all’azione, insomma che non ha la CTA.

Loro infatti, si vantano di essere quelli che invece usano il “marketing a risposta diretta”, senza creatività… dritti al sodo, senza perdere tempo e soldi.
Argomentano così la loro offerta: “I creativi e le agenzie di pubblicità ti fanno buttare i soldi, noi no, noi ti garantiamo il successo”.

Non condivido i loro sofismi. Oltre ad avere dubbi sul successo garantito!
Tra l’altro uno di loro si pubblicizza vestito da guerre stellari, da mago, da pescatore… però dice peste e corna della creatività, lui cerca di essere creativo, ma fa veramente schifo il suo modo di pubblicizzarsi. Quindi ho capito che come la volpe che non arriva all’uva… 

Be’, dal momento che io sono un pubblicitario (da ben 35 anni) e anche abbastanza creativo, mi sono sentito da subito sulla sponda opposta alla loro.

Però andiamo a fondo su questa cosa dei creativi che “ti rubano i soldi”. E già, perché anche questo mi è toccato leggere sul blog di un saccente fondamentalista che fa parte di una cellula italiana, operante nell’ambiente della “vendita”. Cellula che si fa promotrice di ogni parola detta e scritta da Ries come fosse Maometto, dicendo che ha inventato lui il positioning… Beh no, Ries e Trout non hanno inventato il posizionamento, casomai si sono inventati di aver inventato il posizionamento. Il concetto di posizionamento era abbastanza chiaro da secoli, loro lo hanno solo dogmizzato, non inventato.

Devo dire che se si tratta di vendita “One to One” hanno ottimi argomenti, ma purtroppo non si limitano solo a quello e si sperticano a parlare anche di Advertsing, di Branding, di Positioning, prendendo delle scivolate spaventose. Si vede da come ne parlano che la “comunicazione d’impresa” a cui si rifanno loro è ferma a molti anni fa. Certo, come venditori sono bravi, ma dovrebbero fare solo quello. Ecco il famoso FOCUS: fai solo quello che sai fare e focalizzati su quello. Tu fai il venditore? E fai il venditore! Ma soprattutto non screditare le agenzie, i creativi e tutto quel mondo dell’ADV di cui sai poco o niente.

Non condivido la saccenza e la buffonagine di alcuni!

Dopo aver visto un po’ di video e letto un po’ di blog fondamentalisti, per cercare di capire cosa intendessero per marketing a risposta diretta ho scoperto che il sunto di questa teoria di comunicazione efficace e in contrapposizione a quella ortodossa dovrebbe essere:

  • Crea delle PR per generare consapevolezza sul prodotto/servizio, per farti una reputazione e allo stesso tempo per posizionarti.
  • Trova un elemento differenziante sul quale basare la tua offerta. Se non lo trovi, crealo (cioè, inventalo). Non puoi combattere la concorrenza? Fai qualcosa di diverso.
  • Investi in comunicazione per difendere la posizione di mercato, una volta conquistata.

E questo sarebbe un modo diverso e più efficace? Tutta qui la loro legge dell’opposto?

Ma tutte le agenzie di pubblicità (almeno quelle che meritano questo titolo) usano queste strategie. Anche noi ci sforziamo di essere focalizzati sulle caratteristiche più interessanti del prodotto/servizio per usarle poi nella comunicazione. Anche noi usiamo l’ufficio stampa per diffondere comunicati non commerciali ma che generino consapevolezza e chiarezza su quel determinato prodotto e sulla sua utilità. E gestiamo tutto l’anno la comunicazione per fare branding oppure promozione (dipende dal caso). Lavoravo così già a fine anni ’90, mentre questi stanno scoprendo l’acqua calda 20 anni dopo!

La  scoperta dell’acqua calda!

Alla fine, i fondamentalisti del marketing l’hanno capito che bisogna passare dalla old school (fare appuntamenti a raffica) alla creazione di consapevolezza (fare meno appuntamenti e solo con chi è più consapevole, quindi più propenso a dire SI!).

Hanno scoperto l’importanza del dialogo? E sono arrivati tardino, direi! La teoria JOINTMARK si basa sul dialogo marca-cliente e viceversa, cioè sulle PR. Quelle vere, intendiamoci. Perché ho qualche dubbio sul fatto che abbiano capito tutti cosa siano le PR.

Noi facciamo esattamente la stessa cosa, solo che lo facciamo in maniera più creativa, avendo cura visiva e grande attenzione per la “percezione”. Con un approccio meno accanito per la sola vendita, più orientato alla comunicazione col cliente per creare prima consapevolezza. Facendo lead, facendo direct marketing e adottando tutte le tecniche che non sono certo tecniche esclusive dei venditori fondamentalisti. Noi professionisti della comunicazione abbiamo capito già da 20 anni che non puoi più sparare nel mucchio.

Nutro dei dubbi sul fatto che per loro le PR siano un sincero dialogo con il cliente.

Ma… in tutto questo cosa c’entrano i creativi e perché i fondamentalisti ce l’hanno tanto con i creativi?

Ho provato a chiederlo ed ecco le risposte.
Uno di loro: “perché fanno pubblicità troppo creativa”.
Io: “E che è un problema?”
Lui:  “No, nel senso che è creativa… fine a se stessa, cioè non serve a nulla”.

Ho chiesto di farmi degli esempi, e lui: “Adesso non ne ho uno in mente ma ce ne sono tanti. Per esempio: a che serve una foto con un logo e basta? Oppure lo spot Audi? E quelli Ceres?”.

Io: “Vabbè, senti: se intendi che la creatività fine a se stessa è quella che non porta a nessuna “action”, allora vuol dire due cose. O non conosci la differenza tra branding e promozione, oppure ci hai azzeccato. Solo che quella pubblicità è semplicemente sbagliata.  Non è che mo’ ogni pubblicità sbagliata la chiamiamo creativa, che è ‘sta scemenza?

Per favore, sforzati di distinguere i vari tipi di comunicazione. L’advertising non è solo la pubblicità per vendere case o frullatori, quella è la promotion, è un’altra cosa. Se prima lavoravi da Tecnocasa e adesso ti sei messo a fare il pubblicitario posso capire che non sia proprio immediato da capire per te. Fai un piccolo sforzo”.

Quindi non posso condividere con loro la materia. Non hanno abbastanza elementi per il confronto, hanno imparato a memoria pochi concetti e predicano sempre e solo quelli e li ripetono a memoria… sono noiosi!
Il posizionamento, il riposizionamento della concorrenza e l’estensione di linea!

Se vedete una foto che ha solo un logo, senza nessuna scritta, senza una CTA, senza una USP, state calmi, è tutto apposto. Potrebbe trattarsi di semplice branding o comunicazione istituzionale. Sicuramente quell’azienda fa anche altre ADV più promotional style, ma al momento giusto sul mezzo giusto e con le tecniche giuste, oppure non le fa per scelta. “Sono affari tuoi? È cliente tuo? No, e allora fatti i fatti tuoi! Tu con i clienti tuoi fai come credi sia giusto. A proposito: mi fai vedere le campagne che fai per i clienti tuoi? Dove posso vedere il tuo portfolio?”.
E qui, a questa domanda, cambiano discorso. Non sono mai riuscito a vedere un solo lavoro, mai. Tutti bravi, ma a chiacchiere. Oppure, orgogliosi tirano fuori certe c..g..te e mi dicono “eh, che ne dici?”. Eh, che ne dico? Dico che ti serve un’agenzia di pubblicità… magari creativa!

Nel secondo caso, quello in cui ci abbiano azzeccato, cioè abbiano visto una pubblicità effettivamente inutile, fatta male (e oggi non è difficilissimo trovarne una, visto il livello a cui è sceso l’advertising), questo cosa c’entra con i creativi?

Le pubblicità sbagliate dimostrano solo che chi le ha fatte è incapace, tutto qui. Gli incapaci sono ovunque: tra i pubblicitari, tra i marketers, tra i motivatori, tra i formatori, tra i panettieri e gli idraulici. Hai voglia, in giro è pieno di incapaci.

Non devono essere belle, devono funzionare.

Che i fondamentalisti non avessero capito l’importanza – o peggio, non dessero volutamente importanza alla decenza estetica dei contenuti – lo avevo capito guardando i loro siti e le adv con cui si promuovono. Orribili, sembrano fatte da mia nonna con Paint di Windows. Ma loro dicono che non devono essere belle, devono funzionare.

A loro do un consiglio: lasciate perdere la guerra con i creativi e con le agenzie di pubblicità. Dimostrate invece di saper fare meglio e non a chiacchiere, con i fatti. Lo so, lo insegna Ries: trova un argomento per attaccare un tuo concorrente. Ecco un altro motivo per cui Ries non mi piace, l’uso della chiacchiera! Cantatela e suonatela da solo, vedrai che funziona. La tecnica dell’ auto incensarsi, dicono faccia bene al positioning.

Il positioning all’Italiana.

La vogliamo dire la verità, una volta per tutte? Il positioning NON è una tecnica di marketing, ma casomai una sua conseguenza di esso! E soprattutto, non bisogna auto-referenziarsi.
Il positioning è la conseguenza della “vera reputazione” e della “promessa mantenuta”. Se la promessa non la mantieni, altro che pole-positioning: parti in ultima positioning e ti doppiano pure.

Dire di essere il “Numero 1” per poi avere valanghe di critiche non mi pare sia il massimo, o no? Eppure alcuni di questi fondamentalisti lo fanno. Proprio in questi giorni sono assillato da una adv social per la vendita di un corso di… diciamo di “pesca”, e su 30 commenti 25 sono stati cancellati perché la gente diceva quello che pensava veramente. La reputation non si fa cancellando o bannando chi ha argomenti per zittirti o per dubitare di quello che dici. Se succede, qualcosa non sta funzionando nel tuo marketing. O no?

Io sono il numero uno, tu che numero hai? Benvenuti dal panettiere.

Tu continua a leggere questo articolo… io nel frattempo ne sto scrivendo un altro proprio sul Positioning. Che non ha inventato Ries (lui dice di averlo inventato), ma è come se Sgarbi andasse in giro a dire che ha inventato lui la parola “cazzo”, prima non esisteva.

I Ries fan si concentrano sulla lotta alla concorrenza e per loro è una guerra tra brand, una battaglia tra imprenditori, a chi è più furbo e a chi la spada più grossa. Io sono il N°1 in Italia, io il N°1 in Europa e tra poco qualcuno di loro inizierà a dire di essere il N°1 al mondo. Ma si… tento chi se ne accorge?
In questa giostra di balle spaziali, lo user diventa una specie di terzo incomodo, uno che deve solo fare un bonifico. Uno che, dicono loro, “devi prendere a calci nel culo” (testuali parole).

Sembra la scena del Marchese del Grillo: “Sapete quale è la verità? La verità è che io so’ io, e voi clienti non siete un cazzo!”

Non condivido la pratica dell’auto-referenziarsi o auto-posizionarsi. La ritengo una buffonata.

Oggi il consumatore finale deve essere messo al centro delle tue strategie e dovrà essere lui il giudice del tuo operato, perché è lui il mezzo di comunicazione per diffondere la tua “reputation”. Un bene o un servizio di qualità (vale anche per il personal branding) non hanno bisogno di strategie particolari, questa è la verità.

Piuttosto, cerchiamo di essere onesti con noi stessi, con i colleghi, e con i clienti. Questo vale in tutti i settori. Se lo fai, il marketing di cui avrai bisogno sarà veramente poco, anche quello che dovresti fare per vincere la concorrenza.

Ma ovviamente Ries dice esattamente il contrario. E qualche guru della vendita va in giro facendo formazione con slide del tipo “Non educare, vendi”. Alla faccia delle PR!
Però, poi, vogliono anche i clienti consapevoli. Insomma, sono un po’ confusi e pretendono di insegnare agli altri le magiche regole dell’Advertising. C’è da ridere, non ti pare?

Sforzatevi di fare un prodotto di qualità, questo significa differenziarsi.
Ma soprattutto imparate la differenza tra branding e promozione, cioè “chi sono” e “cosa vendo”. Sono due cose diverse, e ognuna ha uno scopo, entrambe sono indispensabili al posizionamento. 

Vedo imprenditori passare 10 ore in ufficio a combattere per far andare avanti l’azienda. Cosa fanno in queste 10 ore? 7 ore le passano a leggere blog di marketing, a guardare la concorrenza e a leggere libri inutili, per 3 ore a pensare al loro prodotto. Se facessero il contrario sarebbe meglio e non avrebbero bisogno di strategie per vendere il loro prodotto/servizio.
Lancio una proposta: 7 ore a produrre beni di qualità e 3 a imparare tecnicismi inutili. A qualcuno di loro viene anche consigliato di scrivere un libro e di fare un blog… fa tanto reputation. Mmmm… io direi che fa tanto perdere tempo.

Un tempo l’Italia produceva eccellenze proprio grazie all’amore verso il lavoro, la ricerca, il design, la creatività, il prodotto prima di ogni cosa. Ferrari, Lamborghini, Ducati, Valentino, Natuzzi, Pirelli, Missoni, Versace, e potrei citarne decine ancora, avevano un solo “elemento differenziante” in comune: l’amore per il loro lavoro e il loro prodotto. Non credo passassero tanto tempo con un libro di marketing in mano, tanto meno uno di Ries.

Lo so cosa stai pensando adesso, tu estremista del marketing: “erano altri tempi, adesso è una guerra”. Bravo, erano altri tempi, ma in tutto il mondo si facevano moda, automobili, pneumatici, elettrodomestici, etc. Tutto quello che facevamo in Italia si faceva anche altrove. Perché noi italiani vincevamo su molti fronti? Per la passione, la fantasia, la creatività, il design, l’innovazione, tutte cose che oggi si sono perse, perché perdiamo tempo a giocare a fare i fenomeni. Tutti consulenti e ce ne fosse uno che producesse un bene di consumo. Oggi su 10 giovani, uno produce qualcosa, e gli altri 9 vorrebbero vendergli consigli su come lo dovrebbe fare. Dovrebbe essere il contrario: chi fa dovrebbe dire come si fa. Non quelli che non lo hanno mai fatto, ma solo studiato. (probabilmente dal blog di un altro come lui).

Un consiglio che ho sempre dato agli imprenditori;

Lasciateli perdere i prodotti cinesi, preoccupatevi di fare un prodotto di eccellenza che costi il quadruplo di quello cinese e andate in Cina a venderlo ai cinesi ricchi. Sono tanti e adorano il Made in Italy, mica comprano la roba cinese. Hai mai visto un cinese in una Ssangyong? Tutti con la Mercedes o l’Audi.

Non condivido il perdere tanto tempo su tecnicismi inutili o poco rilevanti. Il risultato vero è altrove, sul prodotto e non su come cerchi di venderlo. O casomai entrambi ma concentrandosi principalmente sul fare un prodotto di qualità, innovativo, bello, utile

E dopo i calci nel culo, le martellate!

Lo ”user”, cioè il cliente che dovrà darti i suoi soldini, non deve essere obbiettivo finale della tua strategia, ma farne parte. Non devi solo fare comunicazione per arrivare a lui, perché lui deve essere il punto da cui parte la tua comunicazione. Lo user deve diventare il mezzo di comunicazione e queste solo le PR vere. Cioè, quando è lo stesso cliente a farti buona pubblicità, e non quando tu cerchi di “martellare nella sua mente” quella che tu hai deciso debba essere la tua reputazione oppure il tuo positioning. Chiaro?

Laura Ries, figlia di Al ha inventato il concetto “Visual Hammer. Anche qui mi sono documentato perché mi sono detto: vuoi vedere che io sono arretrato e questi invece hanno inventato qualcosa di nuovo? Fammi vedere cosa è questo Visual Hammer, ché in 35 anni di marciapiede non ne avevo mai sentito parlare. Cosa ho scoperto? Un altro segreto di Pulcinella.

Per questo ho dedicato la cover a lei, a Laura Ries, perchè ha scoperto che le immagini sono più potenti delle parole. Grandiosa scoperta! Ma ovviamente niente creativi. Per generare immagini efficaci non ci vuole un creativo, ci vuole un marketer d’assalto.

Tie’, guarda che bella foto col martello che si è fatta. Non c’è dubbio: questa è comunicazione efficace, altro che creativi.

Ho sentito dire da un seguace di Ries che “i brand non parlano con le persone”.
Lo ha detto sul serio? Ma certo che un brand parla con le persone, si chiama Advertising maledizione!

Lo stesso personaggio ha scritto un libro e volevo comprarlo per capire fino in fondo quanto fosse preparato sull’argomento. Ma purtroppo ho scoperto che su Amazon ha più recensioni negative che positive, e ovviamente non l’ho comprato più il suo librone. Questo non conferma che ho ragione? O dai un servizio/prodotto di qualità oppure non c’è strategia che tenga. Lo user scriverà la tua vera reputation e tu avrai un pessimo positioning. Hai voglia a cantartela e a suonartela da solo.

Bisogni o interessi?

Torniamo al modo di fare advertising diretto, focalizzato, strategico. Lo facciamo anche noi “creativi”, ma attenzione: l’adv direct va bene per fare promozione nel breve periodo, non fa né reputazione, né branding. Con gli insegnamenti di Ries (alcuni non sono male) potrai vendere molti aspirapolvere, ma non potrai costruirci un brand o farci reputation. Perché sono cose che richiedono elementi che lo stesso Ries e i suoi seguaci rinnegano, cioè creatività, cultura visiva ed estetica, dialogo con lo user e comunicazione fatta di bisogni, non di interessi. (lo so quest’ultima non l’hai capita… e io non te la spiegherò).

Lovemark (concetto che il fondamentalista respinge).

“L’uomo è mosso dalle emozioni non dalla ragione” (Kevin Roberts).

Ecco, questo è un buon insegnamento per chi vuole comunicare in maniera efficace!

Io sono per la teoria Jointmark (ispirata a quella Lovemark), che viene derisa dai seguaci di Ries perché… perché… boh non lo so perché. Forse perché i sentimenti dello user sono l’ultima cosa di cui si preoccupano. La frase “non alzarti se non gli hai venduto il tuo fottuto prodotto di merda“ (cit) io non potrei mai né pensarla né dirla. Oppure non potrei mai dire che “il cliente è uno da prendere a calci nel culo” (si è sempre lui).

Ci sarebbe da fare tutto un libro sulla ragione e sui sentimenti. I sentimenti ti fanno tirar fuori il portafogli, la ragione te lo fa rimettere in tasca. Sei sicuro che la ragione “a risposta diretta” sia meglio dei sentimenti “creatività”? Pensaci: quando è che rinunci all’acquisto? Dopo averci ragionato troppo, ovviamente. Quindi, da sempre, e sarà sempre così, per vendere ci vuole l’impulso iniziale, quello che non puoi frenare, e quello lo generi solo toccando le corde emozionali.

Ma dove volete andare con queste canne da pesca in mano, a pescare cosa? Ma dove vi avviate?

Non condivido l’ho già detto?

Altra stupidaggine che sento di tanto in tanto da qualche fondamentalista, è riferita alla misurabilità della comunicazione.

“Comunicare è un’arte, e in quanto tale non misurabile. State confondendo l’arte con la tecnica”. Chi lo dice? David Ogilvy, altro grande esempio da seguire (mi inchino).

Ho ampiamente spiegato questa cosa della misurabilità nel mio blog, molti confondono contenuto e contenitore. Il contenitore è misurabile, il contenuto no. Questo lo sanno benissimo i marketer, i marchettari invece non lo afferrano questo concetto.
Ho letto un po’ di libri sulla comunicazione commerciale nella mia vita, nasco come illustratore/grafico, poi negli anni mi sono occupato di strategie di comunicazione passando dall’analogico al digitale. Da metà anni ‘80 ad oggi ho creato e/o seguito decine di brand di successo (non a chiacchiere), ideando centinaia di campagne pubblicitarie e promozioni, e da ognuna di queste ho imparato qualcosa.

Maggiormente ho imparato dal lavoro, poi ogni libro letto mi ha lasciato qualcosa. Anche Al Ries mi ha lasciato qualcosa, non lo nego.

Oggi queste tanto decantate leggi di Ries e Trout sono inapplicabili, oppure opinabili, oppure in contraddizione tra loro, oppure semplicemente sono vecchie, non vanno più bene. Alcune invece sono ancora attuali e mi piacciono.

Ecco le 22 leggi, e in corsivo il mio commento ad ognuna.
(Ovviamente devi aver letto le leggi per capire i miei commenti. Altrimenti salta questa parte.)

1) È meglio essere primi che meglio degli altri. (Legge della leadership)

No, oggi devi essere meglio degli altri, oggi essere i primi non ti servirebbe a nulla. Non siamo più nei favolosi anni ’90. C’è una grande differenza oggi ed è questa: l’utente non compra più se non è necessario, non ha voglia di buttare soldi e non ha intenzione di abboccare. A differenza di 30 anni fa oggi lo “user” fa ricerca, cerca di capire quando deve comprare, si informa, fa confronti e guarda bene i suoi interessi, perché non è stupido. E se dopo l’acquisto è scontento, sono guai: feedback e recensioni ti distruggeranno. Piuttosto, cerca di fare un prodotto inattaccabile, di qualità. Puoi partire anche ultimo, primo lo diventerai di conseguenza. Netflix è attivato ultimo ed è diventato subito primo, perché si è concentrato su cosa offrire di nuovo e con quale qualità. Apple con l’iPhone è arrivata dopo Nokia, Motorola e Blackberry, ma li ha subito stracciati, perché si è preoccupata di dare allo user quello che voleva, cioè uno smartphone, non un cellulare e basta.

2) Se non potete essere i primi di una categoria, inventatene una nuova in cui diventarlo. (Legge della categoria)

Ah ecco, a Ries gli è venuto il dubbio che la prima facesse acqua, e dà un’alternativa. Solo che oggi inventare una nuova categoria è praticamente impossibile, esiste già tutto e puoi comprarlo on line. Su, forza, tu che stai leggendo: pensa a qualcosa che non esista già. Hai controllato sul web che non esista già? Poi il problema non è solo inventare qualcosa di veramente nuovo, ma deve essere anche difendibile, perché stai sicuro che un leader di settore più  forte di te si mette a fare la stessa cosa e ti distrugge in pochi mesi. Lo insegna lo stesso Ries, quindi si contraddice. Anche la seconda legge, se vogliamo, è discutibile.

3) È meglio essere i primi nella mente che primi sul mercato. (Legge della mente)

Al deciditi, dove devo essere primo? Vai a tentoni? Mettilo a destra, sennò mettilo a sinistra, sennò mettilo al centro… vai ché prima o poi ci azzecchi! Così ero bravo pure io.
E comunque oggi essere primi nella mente degli user significa avere una reputazione inattaccabile, un prodotto veramente apprezzato da queste menti, che con le PR diffonderanno viralmente un messaggio che per quel brand diventa oro. La selezione avviene in maniera naturale: loro decidono chi vive e chi muore. Oggi muore Moncler, domani muore Saab poi Motorola etc etc. Non puoi adottare nessuna strategia per cambiarla questa cosa! Ah… dimenticavo: puoi sempre cercare di suggestionare il pubblico auto-referenziandoti e auto-posizionandoti, ma ripeto, alla lunga non funziona. Prima o poi il pubblico ti sbugiarda. Vedi vicenda olio di palma: tutte le aziende a capo chino, compreso Mulino Bianco. Ferrero invece ha potuto gestire la crisi perché offre un prodotto di qualità, e gli altri tutti zitti! Quando sei in buona fede non hai nulla da temere.

La verità è che devi essere il primo per meriti! Leggi 1,2 e 3: andate!

4) Il marketing non è una battaglia di prodotti, è una battaglia di percezioni. (Legge della percezione)

Ries dice che una percezione e un’opinione una volta formate nella mente del consumatore non cambiano. Ecco, oggi è esattamente il contrario- È finita l’era in cui facevi credere quello che volevi ai clienti. Oggi non ci cascano più, sono diffidenti, anche lo storytelling è drasticamente cambiato in questi anni. Oggi il prodotto deve essere esattamente come dice la pubblicità, la comunicazione deve essere veritiera, e quindi la percezione dovrà essere perfettamente in linea con le aspettative. Quindi ancora una volta, ripeto, qualità ed onestà: solo  questo può essere percepito come plus. Quindi il prodotto/servizio deve essere buono sul serio.

Poi sicuramente una buona agenzia di pubblicità, creativa, sa come far avere all’utente la percezione “reale” del prodotto e non quella millantata. E comunque contrariamente a quello che dice Ries, le percezioni cambiano, le opinioni cambiano.
A proposito, mi viene in mente un tizio che fino a ieri buttava cacca sui motivatori e oggi si fa i selfie con loro. Quindi, le opinioni e le percezioni cambiano a quanto pare. Anche questa legge la archiviamo?

5) Il concetto più potente nel marketing è possedere una parola nella mente del cliente potenziale. (Legge della focalizzazione)

Verissimo, bella, mi è scesa una lacrima, ma prima di Ries ci avevano già pensato tutti. Ma anche questa legge oggi è inapplicabile nella maggioranza dei casi, se non hai budget mostruosi. Se io volessi possedere la parola Advertising nella mente del mio cliente potenziale, non basterebbero i milioni di euro.
Scommettiamo? Facciamo un giochetto, apri Google e cerca la parola che vorresti fosse la tua parola di battaglia: case al mare, scarpe, occhiali da sole, insomma una parola del tuo settore specifico. Adesso guarda il numero in alto, dove dice “circa”… quanti risultati ci sono? Ecco, per impossessarti di quella parola dovresti avere più soldi di Zuckerberg. Ripeto, forse negli anni ‘90… ma oggi è diventato impossibile. A meno che tu non voglia possedere nella mente del tuo potenziale cliente la parola “trullalerotrullalà” la vedo dura. Possedere un concetto poi è praticamente impossibile. Nemmeno più Mercedes Saab, Volvo etc etc, posseggono più concetti/parole nella mente dei consumatori, basta con quegli esempi, sempre quelli? Oggi le auto nella mente dei consumatori sono tutte uguali, tutte la stessa robaccia di plastica che dopo 5/6 anni non vale più nulla. Anche se devo ammettere che un  marchio è riuscito a possedere nella mente del consumatore una parola. Audi possiede nella mente del consumatore la parola “Tamarro”, per esempio.

6) Due aziende non possono possedere la stessa parola nella mente del cliente potenziale. (Legge dell’esclusività)

Esatto, la parola “tamarro” la possiede solo Audi. E chi gliela tocca?

7) La strategia da usare dipende da quale piolo della scala si occupa. (Legge della scala)

Sono d’accordo, però allo stesso tempo devo pure dire che non è che ci volesse Ries… è la prima cosa che pensa un imprenditore questa! Ries dicci qualcosa che non sappiamo già!

8) A lungo andare ogni mercato diventa una corsa a due cavalli. (Legge della dualità)

Non più, ancora con ‘sta storia di Coca Cola e Pepsi, McDonald e Burger King, Kodak e Fuji? Adesso in tutti i settori ci sono migliaia di piccole aziendine, centinaia di medie, e decine di big. Non è una corsa a due, ognuno di voi pensasse al proprio settore…. È una corsa tra due big?No, almeno nel 95% dei casi.
Sì, forse qualche raro esempio potrebbe esserci, ma ormai questa legge non è più attuale! Non ci sono più solo Reebok e Nike, ci sono Adidas (che ha comprato Reebok), Converse, Puma, New Balance, Vans, DC Shoes, Diadora (che è rinata) etc etc… che a seconda dello styling dello user e dell’area geografica posseggono più o meno quote di mercato mondiali. Non è più vera questa storia della corsa a due. Prodotti e brand si sovrappongono a reticolo, grazie alla loro profondità di gamma. Le prime due posizioni non è possibile mantenerle per molto tempo. Oh, occhio, ho detto “grazie alla profondità di gamma”.

9) Se vi battete per il secondo posto, la vostra strategia è dettata dal leader. (Legge dell’opposto)

Ries sostanzialmente dice: In una categoria di prodotti ci sono due tipi di clienti, quelli che vogliono comprare dal leader e quelli che non vogliono comprare dal leader.
Oggi, tutti vogliono comprare dal leader, se possono permetterselo. La nascita degli “outlet” e soprattutto il successo di questi è dovuta proprio al fatto che tutti vogliono una polo Ralph Louren e non quella di Peppe Esposito. Quindi, tutti vorrebbero comprare dal leader.

In ogni caso questa legge mi lascia indifferente, non riesco a vederla come un consiglio nuovo a cui nessuno aveva pensato, sembra più una riflessione, non un consiglio. Essere l’opposto di quello che è il leader? Ma perché uno dovrebbe non voler comprare da un leader?

  • Perché è caro
  • Perché non si identifica (ognuno di noi ha un suo lifestyle)
  • Perché non è esattamente quello che voleva
  • Per idiosincrasia (io con la Audi per esempio).

E quindi che opposto faccio io, oggi, in questo mondo di “apparenza” senza sostanza? Pensi davvero che oggi sia facile risolvere questi problemi facendo semplicemente l’opposto di quello che fa il leader? Tu che stai leggendo (non tu fondamentalista del marketing, parlo delle persone normali) prova a pensare al leader del settore in cui sei tu, e adesso dimmi: fare l’opposto di quello che fa lui ti sembra una soluzione efficace? E se il leader te lo facesse fare per qualche mese per poi farlo lui, tu che fai? Vuoi sapere come la penso io? Tu dovresti sforzarti di fare alcuni prodotti meglio di come li fa il leader, anche solo un paio, e iniziare da lì il tuo ingresso nell’arena dei leader. L’opposto vero secondo me è fare meglio del leader, se ci riesci. Altrimenti, non farti illudere da chi ti dice che invece puoi farcela… però devi comprare un corso da lui a 60 euro!

10) Nel tempo una categoria si dividerà in due o più categorie. (Legge della divisione)

Ho già risposto nella legge 2.

11) Gli effetti del marketing si fanno sentire nell’arco di un periodo di tempo prolungato. (Legge della prospettiva)

Qui Ries fa riferimento alle scelte che fai e come possono ripercuotersi sul tuo business a lungo andare. Per esempio, abituando i clienti a non comprare a prezzo pieno ma ad aspettare i saldi. Non è più così, e lo sappiamo tutti. Oggi è in atto una rivoluzione iniziata almeno 10 anni fa dai grandi marketplace come Amazon, Zalando, Asos, Ebay Moda etc. Cioè, 12 mesi l’anno ci sono prezzi vantaggiosi e servizi che garantiscono il buon andamento della vendita, compreso cose del tipo spedizione e reso gratuito, tutto l’anno. E non credo si stia ripercuotendo su Amazon e Co, anzi.
Le PMI invece difficilmente mettono prodotti in promozione. Oggi i volumi sono talmente bassi che quello che producono poi lo vendono, non hanno giacenze o rimanenze, a meno che non abbiano prodotto qualcosa di assolutamente invendibile o di sbagliato. Ma lì torniamo al mio discorso: se il prodotto era buono non ti rimaneva sul groppone. Infatti oggi non è più così, nelle promozioni non si vendono le rimanenze, nemmeno nei saldi. In realtà è merce prodotta apposta per i saldi, non ci prendiamo in giro, su. Oggi la vendita è talmente monitorata grazie ai gestionali ed è talmente veloce, che le eventuali ripercussioni le correggi la sera stessa, altro che tempi prolungati.

12) C’è una pressione irresistibile a estendere il patrimonio di marca. (Legge dell’estensione di una linea di prodotti)

Eh, qui è dura. Dipende veramente tanto dalla categoria merceologica. Parliamo di vendita? Beh, allora mi vengono in mente molti più business che hanno bisogno dell’assortimento che business che non ne hanno bisogno. Però sono d’accordo che una PMI in difficoltà può provare a riprendere in mano la situazione concentrandosi soprattutto sui prodotti che sa fare meglio ed eliminare quelli che usa solo come riempitivo di catalogo. Questo perché avere assortimento richiede tempo e denaro che in un momento di crisi mancano. Direi che su questa legge sono d’accordo, se parliamo di PMI e artigiani.

13) Bisogna rinunciare a qualcosa per ottenere qualcosa (Legge del sacrificio)

Qui Ries dice che bisogna rinunciare a qualcosa per ottenere qualcos’altro. Bisogna rinunciare a qualche prodotto e concentrarsi su pochi prodotti forti (vabbè ne abbiamo parlato già nella 12). Poi dice che devi rinunciare ad una fetta di target, e pure qui sono d’accordo, poi però dice che bisogna mantenere sempre la stessa strategia, e non cambiarla ogni anno!
Ogni anno? Oggi devi cambiarla ogni giorno a quanto pare, altro che ogni anno. Ormai gestiamo a braccio i brand, vista la velocità con la quale cambia il mercato, le tecniche e i programmi del cliente. E non dire che non è così. Lo so che non fai più quei piani marketing di una volta, quelli a 3 anni, a 5 anni… adesso li fai a 6 mesi, per cambiarli dopo 6 settimane. Il sacrificio vero oggi è stare con le antenne alzate in continuazione e rinunciare alla visione a lungo termine. Anche questa legge andrebbe rivista un pochino, secondo me.

14) Per ogni attributo esiste un attributo contrario ed efficace. (Legge degli attributi)

Ries qui dice: “Troppo spesso le aziende cercano di emulare il leader, ma non è una buona idea. Meglio cercare un attributo opposto in grado di contrapporsi al leader”.
Quindi, mo’ capisco la storia dei creativi tirata in ballo dai fondamentalisti del marketing. Serve solo per contrapporsi… Che furbacchioni!
Però non credo che Ries intendesse questo, perché se così fosse nemmeno questa oggi è applicabile. Il leader di una categoria oggi non è un leader scemo che sta li ad aspettare te, “fenomeno di turno”. In nessuna categoria e in nessun settore esiste un leader di mercato così sprovveduto e distratto che non possa emulare o adottare la tua stessa tua strategia, attuare una contro misura della contro misura. Tu PMI vorresti rubacchiare qualche cliente al mastro di cerimonia del tuo settore? Provaci, voglio proprio vedere. Tu fai la pasta integrale? Arriva Barilla, la fa lui e tu chiudi bottega. Fai le torte per celiaci? Arriva Buitoni, le fa lui e tu chiudi bottega. Tu fai Skype? Arriva Facebook compra Messenger e tu sparisci! Il leader di settore, se è leader davvero, non si lascia fregare. Forse negli anni ’90… oggi questa regola non funziona. Oggi il leader ti rilancia il giorno dopo. Instagram ti mette le storie… e Snapchat puuuuf… sparisce. Ma veramente pensate che un leader si faccia fregare così oggi?

15) Se ammettete una qualità negativa, il cliente potenziale ve ne riconoscerà una positiva. (Legge della sincerità)

Mmmm, questa deve essere una legge che i fan di Ries non hanno mai letto o fanno finta di non aver mai letto. Allora, vedi che è come dico io? Ries magari ha pure ragione, è chi interpreta Ries che lo interpreta a modo suo! Questa è la più bella di tutte quelle che Ries ha scritto, ma anche la più ignorata dai suoi stessi fan! Che peccato. Beh, se la ignorano i suoi fan la possiamo ignorare anche noi, giusto?

16) In ogni situazione solo una mossa produce risultati sostanziali. (Legge della singolarità)

Ries dice: Alcuni vedono il successo come la somma di piccoli sforzi eseguiti magistralmente, ma la storia insegna che nel marketing l’unica cosa che funziona è la singola mossa audace.
Ah, sì? E allora perché prima avevo la metà dei dipendenti per gestire la comunicazione dei miei clienti? Invece oggi ho gente in ufficio che non so manco cosa faccia veramente, tante sono le cose da gestire. E nessuna di queste attività è veramente audace e potente abbastanza da cambiare il cammino di un brand. Oggi è esattamente il contrario, devi gestire tante piccole cose, e l’insieme di queste dà risultati apprezzabili. Solo una no. E comunque, se in un intero piano marketing, una sola cosa dovesse cambiare le sorti di un brand in meglio o peggio, così all’improvviso, non è strategia… è culo.

17) A meno che non scriviate i piani dei vostri concorrenti, non potete prevedere il futuro. (Legge dell’imprevedibilità)

Una ricerca di mercato permette di misurare il passato, ma nessuno può prevedere il futuro con il minimo grado di certezza. Né i piani di marketing dovrebbero tentare di farlo.
Questa non la commento perché non ho mai capito se è un consiglio o una battuta! Potevano essere pure 21 e questa non la scrivevano!

18) Il successo spesso porta all’arroganza, e l’arroganza al fallimento. (Legge del successo)

Conosco un venditore che sta vivendo proprio la tua legge 18. Ma tu guarda le coincidenze!
Comunque questa è verissima e sempre verde, concordo! Però pure qui non è che ci volesse Ries.

 19) Il fallimento va messo in conto e accettato. (Legge del fallimento)

Troppe aziende cercano di sistemare le cose invece di abbandonarle. La strategia migliore è quella di riconoscere tempestivamente il fallimento e limitare le perdite.
Questa qualcuno deve spiegarmela, perché non capisco la differenza tra sistemare e limitare le perdite. Se io mi sono accorto tempestivamente dell’errore, e reagisco cambiando da piano A a piano B, tu Ries come lo interpreti?
1 – Sto cercando di sistemare le cose
2 – Sto limitando le perdite
Devi dirmelo perché sono esattamente la stessa cosa. Non ho capito quale è il tuo consiglio!

20) La situazione è spesso il contrario di come appare sulla stampa. (Legge della montatura pubblicitaria)

Negli anni ’90 forse. Oggi non è più così. Oggi la pubblicità deve essere incontestabile, se vuoi risultati. Vedi il commento alla legge 1.

21) I programmi di successo non sono costruiti su mode passeggere, sono costruiti sulle tendenze. (Legge dell’accelerazione)

Dipende dal prodotto, dal target e da tante cose. Oggi tutto quello che ci circonda è una moda passeggera. Tu nel libro parli della Barbie, io ti parlo del Fidget Spinner o dello Slimer, che in un solo anno hanno incassato più della Barbie negli ultimi 10 anni, (se parliamo della sola bambola e non delle royalties sulla cessione del marchio in altre categorie). È la bontà, la novità, l’effetto wow che conta, non se è di tendenza o di moda (che poi è la stessa cosa). Casomai la differenza sta nel prodotto di “Tendenza” e nel prodotto “Basic”, noi nel mondo moda e accessori (scarpe, pelletteria, abbigliamento, gioielli etc) così li chiamiamo.
Il basic è quello che c’è sempre nella collezione come tipologia, può durare anche alcuni anni, cioè viene leggermente aggiornato e riproposto. Poi una parte della collezione è assolutamente di tendenza nei colori, nei tessuti e nei modelli. Il fatturato con quale lo fai? Col basic dirai tu. No, con quello di tendenza. Se così fosse la Apple, la Samsung, la Asus e le altre non farebbero uno smartphone nuovo ogni 6 mesi, lo lascerebbero sul mercato 3/4 anni, cosa che prima facevano. Adesso hanno capito che i soldi li fai sulle mode passeggere. Questo vale per tutto oggi. Nemmeno più le case automobilistiche lasciano un modello 10/12 anni sul mercato. Lo cambiano dopo 4/5 anni al massimo, mentre prima tra un modello e un altro ci passava una generazione, ti nasceva un figlio e ci diventava grande nella tua macchina. Vogliamo parlare delle app e di quanto durino? Non esistono più le “tendenze”, come le chiami tu! I Pokemon-go hanno fallito se pensiamo al lungo periodo, ma sono stati travolgenti nel breve periodo, lo stesso vale per Ruzzle, Candy Crash, Angry Birds e decine di altri giochi che, nel loro essere “moda passeggera”, hanno incassato più di Tetris in 30 anni.

22) Senza finanziamenti adeguati un’idea non può decollare. (Legge delle risorse)

Sono d’accordo! E aggiungo che senza una buona idea creativa non vai da nessuna parte.

Fine delle 22 leggi… E quindi?

Il marketing è tecnica, la comunicazione è arte. Entrambe dipendono dalla tecnologia. Chiamare “immutabili” cose che devono necessariamente evolvere, poiché la tecnologia evolve, è un pochino presuntuoso, non ti pare? E ho notato che molti seguaci o sottoseguaci di queste leggi sono altrettanto presuntuosi e irremovibili. Se vuoi ragionarci, sono come i testimoni di Geova la domenica mattina alle 9:00: tu puoi fare qualsiasi domanda, ma loro hanno sempre le stesse risposte ad effetto, sempre quelle, sembrano lobotomizzati. Tu non ce la fai più, stai lì in pigiama, loro con la borsa a tracolla, te la stai facendo sotto, loro ti vedono che fai il balletto per trattenerla ma insistono. L’unica via di uscita è fare tu l’estremista e urlare “Allah akbar”, aprendoti il pigiama. (la faccia da Arabo già ce l’ho).

Ma siamo sicuri che il problema sia Ries?

Io su questa cosa degli estremisti ci ho giocato un po’ e non me ne vogliano gli amici appassionati di Ries che invece con me si confrontano. Sì, perché qualcuno assennato c’è.  Poi ci sono gli altri, che  interpretano a modo loro le leggi di Ries, come fanno alcuni islamisti con il Corano. Forse, e dico forse, il problema non è Ries, ma chi lo interpreta male. Non prendetevela troppo, mi raccomando.

E io invece come la penso?

In 35 anni di sale riunioni in cui la prima cosa che ti dicono è “non ho budget” ho imparato che:

  1. Dialogare è meglio che persuadere, solo la consapevolezza reciproca e sincera (cliente/marca) genera Brand forti e inattaccabili. L’advocacy oggi è la forza di un brand.
  2. Oggi una strategia di comunicazione deve essere proattiva e non più solo reattiva. Deve anticipare, non soltanto reagire.
  3. La qualità del contenuto viene prima della performance del contenitore. (vedi mio blog)
  4. Contenitore e contenuto sono due cose diverse, gestite da persone diverse. (vedi mio blog)
  5. Bisogna saper distinguere il “Branding” dalla “Promozione”, ma principalmente il positioning dal direct marketing. (vedi mio blog l’ho già detto?)
  6. Il miglior modo di fare branding è quello di mantenere le promesse, non di farle e basta.
  7. Le Marche parlano con le persone, si chiama “advertising” proprio per questo.
  8. Saper comunicare è un’arte, e in quanto tale non può essere regolata da numeri o formule matematiche. Non si misura il contenuto, ma il contenitore, cioè grazie al contenitore sapremo quanto il contenuto ha funzionato.
  9. La creatività nell’advertising è come il design nell’industria: senza di essa le cose sono semplicemente brutte e non accettate dallo user. Pure la Skoda ha dovuto fare macchine belle ad un certo punto, non bastavano affidabilità e prezzo.
  10. Un prodotto o un servizio oggi devi farlo con il cliente, non per il cliente. Il cliente è una grande fonte di informazioni utili e feedback, e tu devi farne tesoro. Non cancellarli o bannarli. E mi da tristezza leggere nei blog “non mettere il cliente al centro della tua comunicazione”.
  11. Il rispetto per una marca da parte del cliente è strettamente proporzionale al rispetto che la marca ha per il cliente stesso.
  12. La miglior forma di PR è il passaparola, oggi lo chiamano “viral”, e tu devi preoccuparti che parlino bene di te facendo le cose bene davvero, non millantare!
  13. Creatività e strategia sono due facce della stessa medaglia. Una non esclude l’altra. Intuizione e tecnica. Insieme sono come carta e matita, una senza l’altra non servono.
  14. Il brief è l’elemento chiave, da lì parte il processo IDEA – REALIZZAZIONE – VEICOLAZIONE – ANALISI e ritorno al via. Spesso viene trascurato o semplicemente non lo sanno fare.
  15. Attaccare la concorrenza è una strategia possibile, ma pericolosa se non c’è abbastanza creatività. Devi essere veramente bravo, vedi comparative storiche Pepsi/Coca-Cola (se proprio vuoi parlare di Pepsi e CocaCola).
  16. Gli elementi differenzianti sono l’innovazione, la proposta e l’idea; non la strategia. Non confondere intuizione e tecnica. Non confondere contenuto e contenitore!
  17. Il mercato non si crea, mentre invece i servizi e i prodotti si creano. Il mercato è già lì che aspetta, non devi crearlo. Il bisogno arriva dopo, non lo inventi tu. Quella cose dell’ “inventare un mercato o un bisogno” non mi trova d’accordo.
  18. La creazione del messaggio e la gestione dello stesso sono due lavori diversi. Alle volte uffici diversi.
  19. Un’idea bella facilita di molto il lavoro di veicolazione. Mai visto il contrario. Con una idea bella e virale anche un marketer “scarso” farebbe bella figura.
  20. Creatività, alle volte, significa saper mettere insieme le cose in maniera STRATEGICA, quindi nemmeno la strategia si salva dal dover essere creativa.
  21. Un brand deve preoccuparsi principalmente di due cose, notorietà e reputazione. Che se ne parli, e che se ne parli bene. Vale anche per il personal branding.
  22. Le regole del marketing non sono 22 e non sono immutabili. Buttate i vecchi libri, il mondo è cambiato, le regole vanno sempre riscritte. Fare marketing significa adeguarsi strategicamente ai cambiamenti.

A proposito, a me piace la semplicità intellettiva ma efficace di Kotler, che tra l’altro non dice di essere il n°1, perché è la comunità mondiale dei marketer a riconoscergli questo titolo. Ecco, questa è reputation, questo è positioning reale. Millantare e ostentare non è una strategia “vincente”. Anzi, risulterà perdente. Che sei il n°1 lo devono dire gli altri, non te lo devi dire da solo… legge della “persona seria”.

Alain G. Serafini

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Author: Alain

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