Lo storytelling

Lo Storytelling, sembra essere di moda, tutti ne parlano.

Ma la cosa non mi impressiona affatto: l’esigenza di “raccontare” un prodotto o un servizio è sempre esistita. Parliamo di un “mestiere” che richiede preparazione grammaticale, gusto, capacità narrativa e critica e spesso anche una scuola per “copywriters”.
Uno scrittore solitamente trova un filone e lo cavalca, un pubblicitario invece ogni volta si scontra con un argomento diverso, ed è quasi tutto lì il bello e il difficile mestiere del copywriter.
Come per gli scrittori, anche un bravo copy scrive best seller di successo, slogan o body copy e che allo stesso modo di un libro, faranno parlare il pubblico e i colleghi per anni.
Nel mondo della comunicazione d’impresa due sono i lavori che ritengo essere assai difficili: il copy e l’art director.
Eppure, oggi, sembra quasi siano diventati due mestieri facili e alla portata di chiunque. Che molti si fossero improvvisati art lo avevo già notato, ma che adesso si parli anche di storytelling con tanta facilità è allarmante. E a mio avviso lo è perché saper raccontare una storia con immagini o testi è un mestiere sacrosanto e difficile. Oggigiorno ancora più difficile di prima. Nonostante ciò mi è capitato di vedere, fin troppo spesso, personaggi improbabili (giovanissimi a giudicare dalle foto) pubblicare articoli con titoli del tipo: “come fare storytelling, ecco i segreti” oppure “come vendere grazie allo storytelling”.
Per dare consigli devi aver fatto un percorso professionale lungo, pieno di problemi e soluzioni, errori e rimedi, con un portfolio di lavori di successo.
Come puoi vendere una cosa se tu per primo non hai maturato un’esperienza diretta su quell’argomento? Non basta aver visto un po’ di webinar o corsi on-line per acquisire esperienza. Bisognerebbe aver svolto con le proprie manine, per anni, e magari per decenni, un bel po’ di lavori (chiaramente retribuiti) e possibilmente di successo, questa è quella cosa che andrebbe chiamata esperienza, e magari, a questo punto potrebbe essere venduta.

Cosa è lo storytelling?
Si tratta di quell’attività che consiste nel raccontare il prodotto al consumatore. Questa è una delle prime regole che gli omini del marketing hanno pensato di introdurre nelle loro strategie, già da tempi non sospetti. Questa esigenza è cambiata poi di pari passo con la mutazione dei mass media e con l’arrivo dei social network. Prima non c’era interazione tra produttore e consumatore, la comunicazione era a senso unico, andava solo in una direzione cioè verso il consumatore. Oggi invece abbiamo un rapporto bidirezionale dove il consumatore ha tutti gli strumenti per comunicare con il produttore e ha maturato una capacità critica di cui non disponeva la generazione precedente.

Come è cambiato nei decenni?

Oggi c’è una consapevolezza diversa, il consumatore è più attento alle differenze tra un prodotto e l’altro, vuole capire bene cosa sta comprando. Negli anni ‘50 e ‘60 andava bene una semplice “reclame” (così le chiamavano), poiché bisognava semplicemente informare/convincere il consumatore a comprare un determinato prodotto. Oggi invece è il consumatore ad informare gli altri consumatori, è dunque il  consumatore stesso il veicolo di informazione. È cambiato il coinvolgimento, non si è più nel dopoguerra, adesso il consumatore è preparato, attento, osserva e critica, non solo, se è il caso attacca perché vuole essere protagonista, e non perde occasione per farlo. Oggi bisogna “pesare le parole” una ad una.

Quando inizia lo storytelling?
Di solito un brand dovrebbe seguire un iter programmato e coerente, dovrebbe avere una strategia di marketing e dovrebbe avere una mission. Lì inizia tutto, inizia soprattutto un mood-brand e uno scopo da perseguire, è li che nasce la storia, è quello che diventa il personalissimo “best seller” del brand.

Quindi fare storytelling significa raccontare il prodotto, nella massima sincerità e trasparenza. Il coinvolgimento arriva proprio quando il consumatore scopre la connection con il prodotto, scopre l’esistenza di un dialogo, di un qualcosa da sapere e condividere con altri, un qualcosa di cui discutere e confrontarsi con altri utenti e con l’azienda stessa.
Io personalmente da un po’ di anni ho preso tutto quello che avevo imparato su Suspects, Prospects and Clients e l’ho buttato dalla finestra. Preferisco partire dal lato opposto, cambiare prospettiva o punto di partenza, che dir si voglia. A mio avviso, nel 2016 è il consumatore a dover trovare il prodotto e non il contrario.

Quindi come si fa storytelling?
La vera difficoltà del fare storytelling non è raccontare una storia, ma lasciare una traccia della nostra storia in chi la leggerà.
Raccontare una storia è facile, lasciare qualcosa in chi l’ha letta è la vera difficoltà. La bravura nel raccontare non è una cosa che si impara da questi seminari online… O hai predisposizione alla comunicazione oppure avrai sempre risultati mediocri. Anche nel caso di una barzelletta, la reazione può essere diversa: la stessa barzelletta può far ridere o no a seconda di chi la racconta, eppure la barzelletta è la medesima. Dunque, cos’è che fa la differenza? La capacità di saper trovare le immagini giuste, le parole giuste, i colori giusti. Saper fare un casting, uno story-board, saper trovare la location giusta per un evento o per uno shooting. Bisogna avere occhio, gusto ed esperienza e bisogna avere una creatività fuori dal comune. Secondo la mia personale esperienza, la creatività è sempre stata e sarà sempre più forte di qualsiasi strategia matematica. Ad esempio sui social, si puoi targhettizzare, formulare, modificare i parametri, aggiustare il tiro come si vuole  o si può, ma se non si ha un messaggio che trasmetta qualcosa al pubblico, si sta sprecando solo tempo a consultare insight che non daranno alcun risultato.

Lo storytelling “leggenda”
I grandi brand ci hanno lasciato delle altrettanto grandi storie come eredità, alcune forse sono solo leggenda, altre forse no. In effetti non mi interessa se queste siano vere oppure no, ciò che conta è che abbiano avuto successo, in un’epoca dove le storie si potevano anche inventare.
Ne ho raccolte alcune qui di seguito, per rendere meglio l’idea:

Charlie Chaplin: si racconta che all’apice della sua carriera si fosse presentato ad un concorso di sosia di Charlot. Si truccò come aveva sempre fatto, si presentò al concorso con un falso nome, e venne scartato. Non somigliava abbastanza a Charlot secondo la giuria.
charlie chaplin

Tonino Lamborghini: leggenda vuole che abbia deciso di costruite automobili dopo aver litigato con Enzo Ferrari da cui aveva comprato una sportiva che però dava fin troppo spesso problemi meccanici. Così Tonino disse ad Enzo: “ti faccio vedere io come si fa un’auto sportiva”. Lì dove si producevano solo mezzi agricoli, quel giorno nacque il mito.
lamborghini

Coca Cola: da sempre ci raccontano di una ricetta segreta e custodita in una cassaforte nascosta in un luogo top secret e vegliata da guardie armate. Vero o no, il solo pensiero ti fa pensare alla bibita come ad un qualcosa di unico e inimitabile. Ma sarà vero?
Ah, ancora una cosa sulla bibita gassata più famosa al mondo: il Babbo Natale che tutti conosciamo lo hanno  inventato  proprio loro, quei maestri di marketing che hanno creato questo brand, prima era rappresentato come un folletto verde…
coca cola

Pepsi Cola: la storia vuole che agli inizi del ‘900 il proprietario del marchio Pepsi fosse intenzionato a venderlo, e lo propose proprio a Coca Cola per pochi soldi. Di tutta risposta l’azienda esordì con un sonoro “non vale nulla, non ci interessa”. Dopo anni sappiamo bene com’è andata a finire: i due brand si danno battaglia a suon di campagne pubblicitarie e testimonial d’eccezione.

Geox: la famosa scarpa con i buchi che lasciano respirare i piedi, pare che sia nata durante un viaggio in Arizona del fondatore del brand, Mario Moretti Polegato che, stando alla “leggenda”, dato il caldo asfissiante, per rinfrescarsi un po’, iniziò a bucherellare le suole delle sue scarpe con un coltellino. Da lì nacque poi l’idea di brevettare la “scarpa che respira”.
geox

Windows: in questo caso, la storia ci racconta che Bill Gates, papà del sistemo operativo più diffuso al mondo abbia cercato di vendere la prima versione del DOS (il nonno di Windows) alla IBM, la quale abbia risposto con un semplice: “non ci interessa grazie”.

bill gates

Insomma vere o inventate queste storie hanno un certo fascino, e sicuramente hanno contribuito alla creazione del mito.

In qualità di Art Director per la Smart Comunicazione, negli anni ’90 e ’00 ho partecipato alla stesura di molte storie, alcune inventate di sana pianta, altre verissime. Ebbero tutte successo.
Erano altri tempi, oggi non puoi più farlo, oggi ci vogliono storie vere.

La prossima volta parleremo di come è cambiato il mondo della comunicazione e perché oggi non puoi più “inventare” storie.

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Author: Alain

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