Stop Hate for Profit

Rincorrere il profitto è la priorità, anche per un brand?

Un brand, per scalare quote di mercato deve andare avanti come un treno lanciato a tutta velocità senza curarsi di chi o cosa ci sia sui binari?

Già da anni porto avanti una mia personalissima battaglia contro un concetto e un modo di rincorrere il profitto anche se per farlo l’etica e il dialogo con la popolazione spariscono. Certo tutti i marketers con cui ho a che fare nel mio settore hanno grande attenzione per i rapporti che devono esserci tra la marca e utente finale, cioè il ruolo di questo per la crescita del brand è determinante e può fare la differenza tra salire la china o rotolare giù.

Anni fa iniziai a parlare di Jointmark, un modo di fare branding fortemente orientato al cliente finale. Non che ci fosse bisogno di ribadire o di ricordarsi che il cliente finale è al centro di ogni strategia, ma la necessità di mettere in chiaro poche regole basilari e condivise da ogni professionista del settore (che meriti l’appellativo “professionista”) mi parvero dimenticare quando comprai un libro la quale copertina prometteva l’azzeramento dei tuoi concorrenti. Un libro ben pubblicizzato, non solo lo avevo visto anche su qualche post qua e là sui social, quindi decisi di comprarlo.

Ma mi resi conto che in buona sostanza il libro di 170 pagine era tutto incentrato su un paio di concetti spiccioli, autoreferenzianti e furbetti che tenevano conto di diverse cose tranne che dell’utente finale. L’utente finale doveva semplicemente “subire” una serie di tecniche copy in cui le parole avevano il solo scopo di non lasciare spazio al ragionamento, l’utente/cliente doveva comprare senza ragionare più di tanto, credendo di essere di fronte “al primo….” di quel determinato settore, oppure di fronte ad un prodotto di qualità ma tenendo conto del fatto che il cliente la qualità non la sa misurare, quindi perché non approfittarne? 

Tali tecniche sono abbastanza vecchiotte, fanno parte di una scuola di posizionamento forzato che ormai ha stancato abbondantemente sia il cliente finale che la concorrenza del brand che adotta tali trucchetti. Infatti spiego bene in diversi articoli perché oggi è pericoloso usare le tecniche di positioning di quel tipo.

Insomma fu quel libro che mi fece venir voglia di ripetere lapalissiana regola che “user is the king”, casomai qualcuno lo avesse scordato, tra l’altro proprio in quel periodo vidi un video su Youtube di un guru che diceva “devi prendere il cliente a calci nel culo fin quando non ti implora di smettere e firma il contratto” ovviamente la sua è una metafora, ma il succo della metafora credo sia chiaro no… O devo spiegarvelo?

Ok, quindi anni fa scoprii che c’è un filone di furbacchioni che manda avanti un modello di marketing orientato al solo profitto, parlano di branding ma di fatto non sanno cosa sia il branding, qualcuno ci scrive anche libri sul branding, ma di branding in quel libro non c’è una sola pagina.

Ho scoperto che molti non sanno fare la differenza tra Branding e Promozione, per loro posizionare spingendo un prodotto sul mercato è branding.

Quindi una volta visto che per questi mattacchioni autoproclamarsi massimi esperti vuol dire fare positionig, e una landing page lunga un chilometro scritta male (volutamente) significa fare branding, mi sono sentito in dovere di iniziare a parlare di Jointmark.

Stamattina ho letto di quanto sia salito in vetta e di quanto sia condiviso il movimento Stop Hate for Profit, tanto da coinvolgere big brands come Coca Cola e Unilever.

L’utente finale, ribadito ai big che “decido io non tu multinazionale”.

L’utente finale ha il potere maggiore in questa giostra del marketing, non ha il coltello dalla parte del manico, ha tutto il coltello.

La vicenda Stop Hate for Profit ha ricordato a chi forse lo aveva dimenticato o volutamente ignorato che il cliente ha sempre ragione, anche quando non si capisce chi ha ragione, meglio darla a lui, si evitano una tonnellata di rogne e fastidi.
Almeno una trentina di big brands si sono dovuti adattare alla volontà dello user, e Facebook seguito da altri social hanno dovuto abbassare lo sguardo e chiedere “time out”, in attesa di capire come gestire questa patata bollente, la perdita in soldi adesso è di poche decine di milioni di dollari in una sola settimana, spiccioli, ma… se la cosa dovesse andare avanti?

Insomma, questa vicenda ci insegnerà chi è e quanto vale un “prosumer”, cioè un cliente che ormai ha il potere di decidere chi va avanti e chi resta indietro.

Continuerete a fare i furbi e a prendere a calci nel culo i vostri clienti? Beh… allora buona fortuna!

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Author: Alain

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